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Il Rifiuto all’Archiviazione

Il Rifiuto all’Archiviazione

SOMMARIO: 1. Gli esperti d’arte. – 1.1 In particolare. La Legge n.4 del 14 gennaio 2013. – 2. Il rifiuto all’archiviazione. –3. Rimedi giudiziali e stragiudiziali. – 4. Conclusioni.

Questo documento è la diretta continuazione di quello pubblicato in data 29 marzo 2017 in questa Rivista.

1. Gli esperti d’arte.

In tema di diritto di archiviazione delle opere d’arte, è assente un riferimento legislativo tipico. Bisogna pertanto necessariamente riferirsi al combinato disposto dell’art.64 del Codice dei beni culturali1, da una parte, e ai pilastri giuridici enunciati dai valori costituzionali, dall’altra.

Infatti, benché in modo assai apodittico e generico, la nostra Costituzione dispone all’art.33, che “l’arte è libera” e, all’art.9, che la Repubblica “tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

La legislazione ordinaria, a sua volta, disciplina solo taluni aspetti legati alla tutela dell’opera d’arte: in particolare, gli artt.2579 e seguenti c.c. si occupano di regolare l’oggetto, l’acquisto, il contenuto, i soggetti, il trasferimento del diritto di utilizzazione nonché il ritiro dell’opera dal commercio, ma nulla dispongono in ordine al problema delle autenticazioni. Neppure la legge sul diritto d’autore contiene alcuna norma specifica in tal senso, lasciando quindi come unico possibile riferimento normativo rinvenibile in materia il già richiamato art.64 del Codice dei beni culturali. Detta norma, tuttavia, non consente di rispondere alla domanda su chi sia legittimato, se del caso in esclusiva, ad archiviare le opere di un artista defunto e, in ipotesi, anche quando egli sia ancora in vita.

La dottrina maggioritaria, intervenuta sul punto, ha comunque escluso che la facoltà di autentica possa annoverarsi in seno al diritto morale di autore, per ritenere che, alla morte dell’artista, essa spetti iure proprio alle categorie di soggetti indicati dagli artt.23 e 24 LdA, in particolare al coniuge superstite e ai figli.

L’impostazione può essere ulteriormente avvalorata da una considerazione rilevante in punto di fatto: i legittimari e gli altri eredi di cui all’art.23 LdA potranno certamente intraprendere l’attività di archiviazione allo scopo di conservare, tutelandola, la memoria del defunto. Ma non può trattarsi di un diritto di esclusiva, soprattutto quando, come spesso capita, tali soggetti non sono affatto esperti d’arte2.

In tal modo, anziché conservare e tutelare l’onore e la reputazione del defunto ex art.20 LdA, tali categorie di soggetti, per avere l’esclusiva sulle archiviazioni, potrebbero astrattamente invece arrecare pregiudizio all’artista e alla sua produzione.

Pertanto, qualora si tratti di artista defunto, può legittimamente sostenersi che il diritto morale di attribuzione della paternità dell’opera sia esercitabile dai suoi eredi (o meglio dai soggetti indicati dall’articolo 23 della legge suddetta) o da archivi, fondazioni, comitati di esperti o associazioni.

Questi ultimi, c.d. esperti d’arte, procederanno a un’approfondita valutazione dell’opera (a titolo di esempio, attraverso attività di comparazione dell’opera con altre del medesimo artista e appartenenti allo stesso periodo storico, oppure tramite attività di confronto calligrafico con eventuali sottoscrizioni presenti sull’opera stessa). All’esito di tali operazioni, l’esperto sarà in grado di rendere documenti contenenti una perizia, stima, attribuzione o autenticazione della stessa. È bene evidenziare, tuttavia, che difficilmente potrà ritenersi certa l’autenticità del certificato, salvo quando questo sia rilasciato direttamente dall’artista.

1.1 In particolare. La legge n.4 del 14 gennaio 2013.

Nell’ordinamento italiano non sono previste né tantomeno disciplinate figure professionali quali il “perito” o “esperto d’arte”.
L’attività degli esperti d’arte, dunque, in attesa di una concreta riforma del Codice dei Beni Culturali, che consenta di superare l’evidente vuoto normativo in materia, è attualmente regolamentata dalla Legge 14 gennaio 2013, n.4.

Tale legge definisce come “professione non organizzata in ordini o collegi” l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’articolo 2229 c.c., e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative.

Il richiamo alla legge n.4 del 14 gennaio 2013 e alla certificazione della qualificazione professionale è un passo obbligato quando si parla di professioni non ordinistiche, come quella dell’esperto d’arte, anche nel rispetto delle attività esclusive delle professioni organizzate in albi e collegi. Più precisamente, sono professioni non ordinistiche tutte quelle professioni il cui esercizio non è vincolato al possesso né di requisiti né di specifica formazione, se non quelli stabiliti dal codice civile o da eventuali norme ulteriori.

Pertanto, in siffatti casi, la ratio della noma è quella di individuare nella formazione avanzata di tipo volontario o imposta dal mercato, nell’addestramento sul campo, nelle qualifiche mediante l’esperienza e nelle referenze, l’abilitazione del professionista.

Viene quindi introdotto il principio del libero esercizio della professione fondato sull’autonomia, sulle competenze e sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica del professionista.

Si consente, inoltre, al professionista di scegliere la forma in cui esercitare la propria professione, riconoscendo l’esercizio di questa sia in forma individuale sia in forma associata o societaria o, infine, nella forma di lavoro dipendente3.

I professionisti possono costituire associazioni professionali con il fine di valorizzare le competenze degli associati, diffondere tra essi il rispetto di regole deontologiche, favorendo la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza.

2. Il rifiuto all’archiviazione.

Come ben noto, l’autenticità rappresenta normalmente per il collezionista la qualità più importante di un’opera d’arte, tanto in fase di acquisto quanto in fase di collezionismo.
Il rilascio del certificato di autenticità (anche comunemente l’autentica) attesta, infatti, che un’opera abbia un certo valore artistico, perché attribuisce la paternità a un determinato artista.

Emerge, dunque, con assoluta evidenza come l’autentica abbia un valore duplice, sia artistico sia economico. Difatti, l’assenza di tale documento comporta, come noto, inevitabilmente una svalutazione del valore dell’opera al momento della successiva alienazione4, in qualunque modo essa avvenga5.

Il panorama che si pone davanti al collezionista che si trovi innanzi alla necessità di autenticare un’opera d’arte è sicuramente difficoltoso e articolato: le modalità di attribuzione e di autenticazione sono diverse e variano a seconda che si tratti di un’opera di un autore vivente o defunto. Oltretutto, il mercato dell’arte tende ad avere i suoi autenticatori di riferimento, nonostante la legge italiana, come sopra evidenziato, non riservi agli eredi o agli esperti più accreditati l’autorità assoluta di emettere al riguardo giudizi definitivi e vincolanti.

In realtà, non esiste a oggi una certificazione definitiva in merito alla paternità di un’opera.
Può accadere che l’autenticità di un’opera si evinca da un’etichetta o da una scritta sul retro in cui l’autore attesti la propria paternità di quel lavoro. Ma non è detto che ciò sia sufficiente.

Come potrebbe non bastare neanche l’autentica rilasciata da soggetti legittimati dalla legge, ma non riconosciuti come appunto autenticatori di riferimento da galleristi e case d’asta.

È accaduto altresì che l’autentica venisse addirittura negata o disconosciuta in un secondo momento dall’artista medesimo. È quanto occorso con l’artista Gerhard Richter, che ha disconosciuto alcune sue opere giovanili realizzate nel periodo in cui frequentava la Düsseldorf Art Academy, in quanto caratterizzate da uno stile che, secondo l’artista, non lo rappresentava più e che ha espressamente voluto escludere dal proprio catalogo ragionato, rimuovendo alcune opere già presenti e impedendo l’ingresso di opere giovanili non ancora archiviate; oppure con Jeff Koons, in un intricato affare internazionale, relativo ai suoi primi prototipi, poi smarriti.

Così come è capitato che autentiche provenienti da parte dei soggetti legittimati ai sensi dell’art. 23 della legge sul diritto d’autore, ossia i congiunti più stretti, non fossero ritenute sufficienti per il mercato, in quanto il mercato richiedeva che l’autentica provenisse da un diverso soggetto o che l’opera fosse stata debitamente archiviata.

Su tale ultimo aspetto, si evidenzia come attualmente la c.d. “autentica di archiviazione”, ossia l’inserimento dell’opera da parte dell’archivio dell’artista all’interno del catalogo generale (comprensivo di tutte le opere autentiche dell’artista) o ragionato (che consiste nell’inserimento di alcune opere selezionate direttamente dall’artista o, post-mortem, dai suoi eredi), possa costituire un’evidente prova dell’autenticità dell’opera nel mercato dell’arte, anche al di là del certificato di autentica.

Il certificato di autentica può anche essere sostituito dall’archiviazione come avviene nel caso dell’Archivio di Piero Manzoni, che propone di non rilasciare alcun certificato di autenticità, bensì di archiviare solo le opere riconosciute come autentiche6.

La criticità del mercato dell’arte in siffatte situazioni, a fronte anche di un grave vuoto normativo, emerge vieppiù se si considera cosa può accadere nel caso in cui l’acquirente di un’opera d’arte, munita di autentica, si veda successivamente disconosciuta la predetta opera da parte di un archivio.

È difatti sempre possibile nonché purtroppo ormai comune nella prassi, che si verifichi il disconoscimento dell’autenticità da parte di un archivio, anche se questo è stato istituito successivamente alla compravendita di un’opera, talvolta sul presupposto per cui l’autentica potrebbe essere stata apposta successivamente oppure artefatta.7

3. Rimedi giudiziali e stragiudiziali.

Nel caso in cui un archivio neghi l’autenticità di un’opera, il collezionista potrebbe innanzitutto adoperarsi per ottenere un’expertise (documento contenente il parere di un esperto, considerato competente e autorevole, in merito all’autenticità e all’attribuzione di un’opera d’arte).

Tuttavia ogni valutazione dovrà essere effettuata in concreto con un professionista specializzato, al fine di valutare ogni possibile soluzione. Quindi, colui che ritiene di essere stato leso e di avere patito un danno dalla mancata archiviazione potrebbe instaurare un giudizio nei confronti dell’archivio per sentire accertata l’autenticità di un’opera, normalmente a seguito di apposita consulenza tecnica d’ufficio, svolta da un perito incaricato dal Giudice competente a decidere la vertenza.

La dichiarazione di autenticità dell’opera, accertata giudizialmente con sentenza passata in giudicato, comporta di prassi l’inclusione dell’opera nell’archivio, nel quale si precisa che l’autenticità è stata dichiarata dal Tribunale.

Tuttavia, l’accertamento giudiziale potrebbe non incidere sul mercato dell’arte e l’opera, pertanto, rischia egualmente di perdere di valore, con l’inevitabile conseguenza che la figura dell’autore potrebbe subire ripercussioni sul piano culturale.

In merito, si può citare quanto accaduto negli Stati Uniti, ove un gruppo di mercanti aveva citato in giudizio il venditore di un’opera chiamata “Rio Nero”, dopo che uno dei più noti esperti di Alexander Calder l’aveva reputata non autentica. Sia in primo grado sia in sede di appello l’opera fu, al contrario, ritenuta autentica, a dispetto di quanto ritenuto dall’esperto di Calder. L’opera, sebbene dichiarata autentica giudizialmente, non è risultata comunque attraente sul mercato.

Si ipotizza, nell’esperienza di chi scrive, che, in caso di disputa circa l’autenticità di un’opera, una strada alternativa a quella giudiziale possa essere il confronto tecnico tra le parti (normalmente archivio – collezionista), anche attraverso analisi scientifiche, chimiche o fisiche.

In siffatti casi, risulta ancora più importante per l’acquirente dell’opera raccogliere e documentare quante più informazioni possibili in merito all’opera e dotarsi di idonei certificati di autenticità. Anche perché, come spesso accade, gli archivi si limitano a comunicare il proprio diniego all’autenticazione di un’opera, attraverso formule assai apodittiche e sintetiche, che contestano genericamente la riferibilità dell’opera all’artista. Infine, in caso di conflitti di opinioni irrisolvibili bonariamente, qualora il collezionista ritenesse comunque necessario l’avvallo dell’archivio, è possibile anche ricorrere a organismi di mediazione o di metodi alternativi di composizione della lite, creati al fine di dirimere tali controversie.

4. Conclusioni.

L’analisi del ruolo degli archivi nel mondo dell’arte permette di sostenere come gli stessi debbano essere gestiti in modo trasparente e virtuoso e adeguarsi allo stesso modus operandi, in modo che gli operatori del mercato abbiamo fiducia nel loro lavoro e avvalorino tale attività.

Solo in questo modo gli archivi potranno mantenere la dovuta professionalità, il prestigio e la competenza necessari per diventare un valido punto di riferimento per il mercato dell’arte e, in un futuro, magari anche per il Legislatore, al fine di colmare il vuoto normativo e risolvere definitivamente l’evidente distonia tra mercato e diritto.

Note

1 Il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, c.d. “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, che disciplina attualmente la materia, dispone all’art.64 che “chiunque esercita l’attività di vendita al pubblico, di esposizione a fini di commercio o di intermediazione finalizzata alla vendita di opere di pittura, di scultura, di grafica ovvero di oggetti d’antichità o di interesse storico od archeologico, o comunque abitualmente vende le opere o gli oggetti medesimi, ha l’obbligo di consegnare all’acquirente la documentazione che ne attesti l’autenticità o almeno la probabile attribuzione e la provenienza delle opere medesime”. Inoltre è altresì disposto che, in mancanza di tale documentazione, è fatto obbligo di “rilasciare, con le modalità previste dalle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, una dichiarazione recante tutte le informazioni disponibili sull’autenticità o la probabile attribuzione e la provenienza. Tale dichiarazione, ove possibile in relazione alla natura dell’opera o dell’oggetto, è apposta su copia fotografica degli stessi”.

2 Cfr. Avv. Simone Morabito, Strumenti di valutazione per le opere d’arte. Perizia, expertise e autentica, 6 BusinessJus 58 (2014).

3 Art.5, L. 4/2013: “La professione è esercitata in forma individuale, in forma associata, societaria, cooperativa o nella forma del lavoro dipendente”. N. MAGGI, Autenticare le opere d’arte tra diritto e mercato, pubblicato su

4 www.collezionedatiffany.com il 31 dicembre 2015.

5 La svalutazione può avvenire non solo nel momento della compravendita, ma anche quando l’opera entra a fare parte dell’asse ereditario oppure quando viene assegnata ai soci da cespite societario.

6 www.pieromanzoni.org

7 N. MAGGI, Autentiche: quando l’archivio dice no, pubblicato su www.collezionedatiffany.com il 2 marzo 2017.

S. MORABITO, Il rifiuto all’archiviazione, 8 BusinessJus 70 (2017)

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