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Le valutazioni degli archivi e delle fondazioni nel mercato dell’arte alla luce della recente giurisprudenza.

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. L’orientamento giurisprudenziale – 3. Conclusioni.

1. Premessa.

La valutazione di autenticità delle opere d’arte rappresenta, come noto, un argomento di rilievo primario nell’ambito del diritto di autore.

Tutelare la paternità dell’opera e porla al riparo dal rischio di contraffazione è principio e obiettivo certamente imprescindibile nell’ottica della tutela dell’attività e della proprietà intellettuale.

A ben vedere, quella della valutazione di autenticità è materia che trascende il diritto d’autore e che si ampia sino ad interessare settori e tematiche differenti.

In primo luogo, infatti, la questione dell’autenticità di un’opera è fondamentale nell’ambito del mercato dell’arte, dal momento che ogni bene

artistico, oltre a possedere un intrinseco valore estetico, ha una precisa valenza economica che dipende direttamente dall’autenticità dell’opera.

In secondo luogo, le opere d’arte sono naturalmente oggetto di scambio, commercio ed esposizione; condotte, queste, che vengono prese in considerazione in un ambito complementare al diritto d’autore nell’ottica della tutela della proprietà intellettuale, ossia il diritto penale.

Il legislatore, recentemente, con la legge 9 marzo 2022, n. 22 recante “Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale”, ha riformato il codice penale, integrandolo con il Titolo VIII-bis (artt. 518-bis ss. C.p.), rubricato «Dei delitti contro il patrimonio culturale», che contiene un consistente numero di norme incriminatrici (art. 518-bis – 518-quaterdecies c.p.) in parte di nuova introduzione e in parte riproduttive di fattispecie già previste nella legislazione complementare (art.178 Codice dei Beni Culturali) nonché circostanze speciali aggravanti e attenuanti, cause di non punibilità e ipotesi di confisca.

Si tratta, sostanzialmente, di ipotesi di reato configurabili allorquando opere di pittura, scultura o grafica, o ancora oggetti di antichità o di interesse storico o archeologico vengano contraffatti, alterati o riprodotti, nonché l’ipotesi in cui un soggetto, pur non avendo concorso nella contraffazione, alterazione o riproduzione dell’opera, la ponga in commercio, la detenga per farne commercio, la introduca a questo fine nel territorio dello Stato, o comunque ponga in circolazione come autentici esemplari contraffatti, alterati o riprodotti di opere di pittura, scultura, grafica o di oggetti di antichità, o di oggetti di interesse storico od archeologico.

In tale contesto, la questione dell’autenticità di un’opera assume fondamentale rilevanza, data anche – come poc’anzi rilevato – la sussistenza di concreti interessi economici sottesi all’ambito del mercato dell’arte.

Non è infrequente difatti che il possessore dell’opera asseritamente contraffatta non abbia nella propria disponibilità alcuna documentazione che certifichi la lecita provenienza del bene in oggetto, specialmente se

questi, come accade soventemente, l’abbia ricevuta nell’ambito di un rapporto familiare a titolo ereditario.

In siffatte ipotesi, qualora il possessore dell’opera si veda contestata l’autenticità del bene, si trova evidentemente nella difficile condizione di dover dimostrare l’effettiva paternità della stessa e la sua riconducibilità all’originale autore.

Ebbene – ed è questo il profilo di maggiore interesse ai fini del presente approfondimento – si pone il problema di valutare l’attendibilità e il giusto rilievo da conferire all’opinione proveniente dalle diverse Fondazioni e Archivi d’artista, che si occupano di tutelare il patrimonio artistico di un determinato autore, e che spesso, sulla base di informazioni segnalate da chi è entrato in contatto l’opera ritenuta falsa, intervengono spontaneamente denunciandone il possessore o rendendo il proprio autorevole parere circa l’autenticità del bene.

Nondimeno è bene essere chiari sin da subito sul punto: non esiste una certificazione definitiva in merito alla paternità di un’opera.

Eppure, tra i soggetti ai quali sino a oggi è stato attribuito un ruolo preminente per quanto riguarda le autentiche emergono senz’altro le Fondazioni (o Archivi) d’artista, enti spesso istituiti dall’artista quando ancora in vita oppure dagli eredi e/o altri soggetti legittimati a far valere il diritto morale d’autore.

Accade sovente che le aule dei Tribunali vedano coinvolti in contenziosi gli Archivi, il più delle volte citati in giudizio per aver espresso un parere sfavorevole in merito al rilascio del certificato di autenticità, o per non aver incluso una determinata opera nel catalogo ragionato dell’artista.

È d’obbligo a questo punto evidenziare che, anzitutto, sino a poco tempo fa non era possibile obbligare una Fondazione a inserire una determinata opera nel proprio catalogo.

La giurisprudenza era difatti unanime nel ritenere che fosse inammissibile la condanna all’inserimento nel catalogo generale di un artista, curato da un ente che svolge un’attività di archiviazione delle opere d’arte, trattandosi di “un’attività incoercibile” (Trib. Milano, 15 febbraio 2018).

Nella medesima pronuncia, tuttavia, il Tribunale di Milano aveva altresì affermato che “la qualificazione dell’opera effettuata dalla Fondazione quale scarto e quindi come opera ripudiata o comunque non voluta dall’autore non ha alcun fondamento, neppure presuntivo”.

2. Il recente orientamento giurisprudenziale.

La prima domanda da porsi ora è, dunque, se le valutazioni degli Archivi e delle Fondazioni, per quanto autorevoli, siano sufficienti per ritenere l’opera contraffatta o meno e, conseguentemente, per sostenere una responsabilità penale per i reati che, in caso di risposta positiva, possono astrattamente configurarsi.

La questione è stata di recente affrontata dalla Seconda Sezione Penale della Corte di appello di Milano, la quale con la nota sentenza del 3 novembre 2021 ha riformato il precedente provvedimento del Giudice di prime cure, che aveva condannato un gallerista per il reato di ricettazione sulla base, essenzialmente, della valutazione resa dalla fondazione Josef and Anni Albers Foundation inc, che si occupa(va) di tutelare il nome e le opere del pittore Josef Albers, e che aveva peraltro essa stessa dato origine al procedimento sporgendo denuncia contro il gallerista.

La pronuncia della Corte di Appello assume particolare rilievo poiché pone l’accento sul peso effettivo da attribuire all’opinione espressa dalle Fondazioni.

La Corte infatti afferma la necessità di bilanciare l’autorevolezza del soggetto da cui il parere proviene con una valutazione attenta dell’autenticità dell’opera che prescinda dal suddetto parere, evidenziando come la Fondazione assuma frequentemente anche la veste di parte civile.

Prosegue dunque evidenziando come le sue dichiarazioni necessitino di essere sottoposte a un approfondito vaglio di credibilità e attendibilità, certamente più rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di un qualsiasi testimone.

Ciò specialmente se si tiene conto – continua la Corte – che le Fondazioni sono esse stesse portatrici di rilevanti interessi economici, risultando proprietarie di opere e dunque inevitabilmente interessate dalle logiche di mercato.

Allorquando dunque l’autenticità di un’opera sia dubbia e il suo possessore non abbia a disposizione una autorevole prova “liberatoria”, quale il certificato di autenticità, l’opinione della Fondazione deve essere presa in considerazione previa sottoposizione a un attento vaglio critico, considerando che “all’assenza del certificato di autenticità di un’opera d’arte non consegue necessariamente la falsità dell’opera”.

La Corte d’Appello così conclude sul punto: “il parere di un esperto, indipendentemente da quanto autorevole sia, può sempre essere messo in discussione da altro esperto o consulente. Occorre, infatti, tener conto della peculiarità dell’oggetto d’arte come oggetto di scambio, peculiarità che dipende principalmente dall’incertezza intrinseca della sua esatta identità e provenienza, che spesso dipendono da una valutazione, quella dell’esperto, che per quanto diligentemente resa, altro non è se non un giudizio, un’opinione, suscettibile come tale di mutamento”.

La pronuncia in esame rappresenta inequivocabilmente un punto di svolta di primaria importanza sia per il diritto d’autore sia per il diritto penale, sgretolando l’immaginario tradizionale di inattaccabile autorevolezza delle opinioni rese dalle Fondazioni e introducendo nel diritto un nuovo metro di valutazione che, lungi dall’assimilarsi pedissequamente all’autorevolezza del soggetto da cui il parere di autenticità proviene, apre in ogni caso il campo a valutazioni più eque e, soprattutto, più adatte al caso concreto, in cui non sempre è agevole per il possessore dell’opera provarne l’autenticità.

Ovviamente, la sentenza in esame ha portato a riflessioni – e reazioni –di senso diametralmente opposto, laddove si è voluto al contrario evidenziare, da una parte, il ruolo primario degli Archivi e delle Fondazioni nel mercato dell’arte, condannando, dall’altra, la loro stigmatizzazione e l’insinuazione pubblica generata dalla sentenza in esame di un rilevante conflitto d’interesse delle Fondazioni / Archivi.

È pur vero, però, che l’orientamento espresso a sostegno e difesa della posizione e rilevanza degli Archivi nella valutazione dell’autenticità proviene al momento da chi ne ha assunto la difesa, rendendo, ci si permette, il dibattito sul punto del tutto apparente.

D’altra parte, come sopra accennato, la pronuncia in esame potrebbe aver avuto anche il merito di aprire la strada verso una maggiore ed effettiva tutela dei diritti dei proprietari di opere d’arte.

Difatti, la Corte di Appello di Milano, con un’altra ancora più recente sentenza (n. 2262/2022, pubblicata il 28 giugno 2022), ha sancito due principi di fondamentale importanza, che paiono deputati a segnare la futura giurisprudenza di merito e di legittimità.

In primo luogo, contrariamente agli orientamenti giurisprudenziali antecedenti, la Corte d’Appello milanese ha statuito la coercibilità dell’inserimento dell’opera accertata giudizialmente come autentica all’interno del catalogo dell’Archivio, specificando che soltanto attraverso tale inserimento è possibile e consentita alla collettività la conoscenza di tutte le opere presenti sul mercato, che rappresentano un determinato valore artistico in quanto attribuibili all’artista.

In secondo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dalla Fondazione nel suddetto giudizio, secondo la quale l’autenticità di un’opera d’arte può costituire oggetto esclusivamente di un parere riconducibile alla libertà di pensiero ex art. 21 Cost., ha riconosciuto il diritto del privato ad agire giudizialmente al fine di accertare l’autenticità dell’opera contro il parere negativo della Fondazione/Archivio: ciò a tutela della proprietà e in ossequio ai disposti di cui agli artt.24 e 42 Cost..

La Corte ha difatti così statuito: “L’opera d’arte è – anche – un bene oggetto di scambio, con specifiche peculiarità. Al valore estetico si accompagna una precisa valenza economica, che dipende dalla sua accertata autenticità e che costituisce, per consolidata giurisprudenza di legittimità, elemento essenziale nei contratti di compravendita del bene tra privati. L’autenticità dell’opera d’arte fornisce al bene una qualificazione ontologicamente diversa, con inevitabili riflessi sul relativo diritto di proprietà.

L’incertezzascaturitadalrifiutodellaFondazione[…]diautenticarel’operad’arte ha reso, quindi, concreto l’interesse […] a promuovere l’azione di accertamento”.

3. Conclusioni.

Certamente tutti gli operatori del mercato dell’arte non possono che convenire quanto sia fondamentale e dirimente un rigoroso accertamento dell’autenticità e della lecita provenienza delle opere che circolano all’interno del mercato, attraverso la definizione di un quadro probatorio tale da escludere, in ogni sede processuale anche penale, la consapevolezza di una presunta provenienza illecita del bene, che diversamente comporterebbe la condanna a fattispecie delittuose.

Non resta dunque che attendere l’evoluzione giurisprudenziale alla luce di tali primi nuovi orientamenti.

“Accidere ex una scintilla incendia passim”.

*
S. MORABITO, F. SIMONE, Le valutazioni degli Archivi e delle Fondazioni nel

mercato dell’arte alla luce della recente giurisprudenza, 14 BusinessJus 85 (2023) *

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* Avvocato, iscritto al Foro di Torino, simone.morabito@studiomorabito.eu – socio Studio Legale Tributario Morabito – Presidente https://www.businessjus.com/ – Co-Fondatore http://www.artlawyers.legal/ – Coordinatore Commissione Diritto dell’Arte.
* Avvocato, iscritto al Foro di Torino, francesca.simone@studiomorabito.eu – socio Studio Legale Tributario Morabito.

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